Ecco come svecchiare l’Opera Lirica

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Bisogna svecchiare l’opera lirica“. Ecco una frase che non ho mai sentito sulle bocche dei giovani cantanti, dei giovani direttori, delle giovani comparse, dei giovani lavoranti tecnici, amministrativi e dei comparti scenici.

È una frase che invece ho sentito spesso uscire dalla bocca di chi a teatro non ci va mai, da chi pensa che la lirica sia un posto dove gli spettatori sono tutti in smoking e in pelliccia, di chi non sa cosa sia una torre scenica, un foyer o un ridotto.

Una frase che sento spesso anche sulla bocca di chi ha responsabilità politiche e amministrative nella gestione dei nostri teatri.

Costoro dicono sempre: “Bisogna svecchiare l’opera lirica” ma, alla fine dei conti, nessuno di loro sa come si fa davvero a svecchiarla. Vediamo di svelare l’arcano e di vedere come si fa, in modo di dare a costoro gli strumenti necessari.

Si deve svecchiare una cosa che è vecchia.

Avete mai visto gli occhi di un ragazzino quando si apre il sipario sul secondo atto di Turandot, nella reggia? Avete mai visto una comparsa ventenne piangere lacrimoni così quando Cio Cio San canta “Tu, tu, piccolo iddio”?
Avete mai visto il pubblico aspettare la cantante all’uscita artisti solo per poterle dire che li ha fatti emozionare?

La lirica è teatro. Torre scenica, graticcia, sipario, buca d’orchestra, platea, palchi, loggione, lacrime, catarsi, sorrisi, dramma e leggerezza.  È così da sempre. È il teatro ed è nato con l’uomo, assieme alla sua voglia di raccontare e di ascoltare.

Il teatro deve essere svecchiato? Ecco la domanda. Voglio dire: Shakespeare ha bisogno di essere svecchiato? Euripide ha davvero bisogno di essere svecchiato? Quelle storie non parlano più all’uomo di oggi ma solo a quello del passato? L’idea di attori e cantanti che salgono su un palcoscenico e che raccontano delle storie con o senza musica, è un concetto che deve essere svecchiato? L’idea di entrare dalla quinta di sinistra e di agire lo spazio scenico per poi uscire di scena è un concetto vecchio in sé?

Ma si può forse obiettare che è proprio il teatro musicale ad avere  bisogno di essere svecchiato. La modalità espressiva di chi racconta una storia cantando è una cosa vecchia? E se è cosa vecchia, come mai ancora oggi i cartoni animati per bambini raccontano le loro storie con la stessa modalità del Grand Opéra (recitativi, arie, concertati e balletti)? Andrebbero svecchiati anche i cartoni della Pixar?

Forse hanno bisogno di essere svecchiate le convenienze teatrali dei personaggi truccati, coi costumi di scena e che si spostano all’interno di spazi scenografici? O forse hanno bisogno di essere svecchiate le convenienze di portare in scena costumi di scena del periodo storico nel quale l’opera è stata ambientata? Se io faccio l’Amleto con costumi del suo periodo, sto facendo una cosa vecchia a prescindere da quanto sia innovativa la mia drammaturgia? O se metto in scena Euripide lo devo per forza fare in una maniera diversa da quella con la quale l’opera è stata concepita perché “bisogna svecchiare Euripide”? E ancora, i capolavori che hanno passato il setaccio del tempo devono essere davvero svecchiati o non sono opere immortali e universali perché parlano della profondità dell’animo umano?

Quindi dovremmo svecchiare i classici greci, le opere di Dante e di Petrarca facendone la versione in prosa con il linguaggio contemporaneo e facendo recitare i personaggi vestiti da skaters?

O forse non è l’idea stessa di dover “svecchiare” l’arte che risulta fallace, forzata, snobistica e non giustificata?

Eppure c’è un fondo di verità nel dire che l’opera va svecchiata.

L’Opera lirica va svecchiata

Nel secondo novecento l’opera lirica si è effettivamente incrostata di riti che con il teatro hanno poco a che vedere. Da arte autenticamente popolare come era stato sin dall’ottocento e fino alla seconda guerra mondiale, nel secondo novecento la Lirica è diventata in effetti rito elitario e ha virato verso una pericolosa autoreferenzialità che non era mai stata nelle intenzioni degli autori.

Nel secondo novecento si è assistito alla rinuncia del racconto registico per virare verso l’estetismo spesso compiaciuto e fine a se stesso dei tableau e delle trasposizioni temporali senza connessioni con il testo. In questi decenni lo spettacolo dell’Opera Lirica è spesso diventato un assemblaggio di codici condivisi solo da pochi, per essere poi definitivamente travisata e pugnalata al cuore con l’imposizione della logica dell’ “evento” contraria alla funzione sociale e autenticamente democratica che il Teatro pubblico deve sempre avere.

Ecco cosa va davvero svecchiato nell’Opera Lirica.

Quindi, se si vuole davvero svecchiare l’Opera Lirica, ecco cosa si deve davvero fare.

È necessario finirla con i registi che, anziché raccontare la storia, si mettono a raccontare sé stessi senza connessioni con il testo che stanno mettendo in scena.

È necessario ripudiare la logica da “evento” e tornare al teatro aperto a tutti. È necessario preparare gli spettatori con materiale redazionale di sala che sia alla portata della comprensione di tutti e con interventi promozionali di guida all’ascolto.

È necessario finirla con le regie che non riescono a agire la drammaturgia, ma che si limitano a posizionare i personaggi in scena come fossero giocatori del Subbuteo.

È necessario finirla con le idee di allestimenti che prendono un’opera lirica solo come pretesto per poi mettere in scena una storia completamente differente da quella composta dagli autori.

Queste sono le cose che negli ultimi settanta anni hanno rischiato davvero di far invecchiare l’opera lirica.

Torniamo a raccontare le storie, con umiltà e con gioia. E, per favore, i registi che non apprezzano l’Opera, che non la amano e che non la conoscono, si astengano.

Grazie.

L’opera lirica si svecchia tornando a raccontare storie sul palcoscenico. E basta. 

Gianluca Floris

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