L’EUROPA e la scuola superiore

Ho sempre preso sul serio quello che ho studiato al Liceo Classico, unico momento di studio “universale” della mia formazione, prima della specializzazione alla quale la vita mi ha portato in età successiva.

La Scuola Superiore è quella nella quale si entra ancora bambini e si esce adulti (ancorché giovani).

Quello che ho studiato è stato la summa del pensiero umano che ci ha preceduto e che ha concorso alla formazione della nostra civiltà presente.
Dai poemi omerici alla letteratura del novecento, dalle veneri madri ai tagli di Fontana, dai frammenti di Archiloco a Montale, dal principio dell’ “arché” al superomismo di Nietsche, dalla caduta del digamma alla caduta del congiuntivo.

Ma che cosa accomuna gli elementi di studio che il Liceo Classico mi ha fornito, oltre al fatto che si tratta della summa della nostra civiltà? Il tratto comune di tutto quello che ho appreso è che si tratti della Storia della civiltà europea nel suo insieme e che non sia possibile parlare di “civiltà italiana” se non si considera la “civiltà europea” come luogo di confronto, di scontro e di sintesi delle tante identità esistenti in Europa.

Nessuna delle identità culturali particolari europee, si è sviluppata senza il contributo e il confronto con le altre.
L’identità culturale nostra, oggi, è il frutto di testimonianze, di movimenti e di pensieri che agivano all’interno del territorio continentale europeo.
Finanche i momenti di ingresso di elementi extra europei (come le dominazioni arabe e prima ancora le cosiddette, con termine orrendo, “invasioni barbariche”) sono diventati mattoni di costruzione della nostra identità attuale.

Questo ho imparato dallo studio classico: che siamo europei, così come siamo italiani, sardi, veneti, ecc.
Ecco perché non riesco a pensare all’Europa come un soggetto a me estraneo, ma come una mia casa, comune a tutti gli europei nella egual misura.
Ed è quindi proprio per tutto quello che ho studiato (e che è diventato parte di me) che non posso che pensare che quello che è successo dopo la seconda guerra mondiale, è stato in un certo qual modo logicamente e storicamente inevitabile.

I destini dei nostri popoli europei sono interlacciati inevitabilmente, perché è la nostra storia stessa ad essere il frutto di viaggi, confronti, dibattiti e di rielaborazioni.

Pensare che le fallacie umane, politiche e organizzatve della costruzione dell’Unione Europea, debbano provocare un percorso di negazione della nostra identità culturale profonda, non ha a mio modo di vedere nessun fondamento: né storico, né culturale, né sociale, né economico e neppure pratico.

Se è vero che la “pace di Vestfalia” (dopo la devastante Guerra dei Trent’anni) aveva prodotto la concezione condivisa del diritto all’esistenza dei regni europei, che dovevano riconoscere mutualmente il diritto all’esistenza e al diritto di adottare politiche interne ai loro territori (decisioni riconosciute come legittime dal consesso internazionale europeo che ivi si formò), è poi con la costruzione della UE nel ventesimo secolo che si è iniziato un cammino di costruzione di una nuova identità politica e economica.

I problemi del funzionamento della UE sono oggettivi e pressanti, lo riconoscono tutti oggi, ma il fatto che si debba operare per una costruzione di una UE migliore non vuol dire che dobbiamo tornare a prima della Guerra dei Trent’anni. Dobbiamo anzi costruire una Europa più funzionale e più efficace.

Perché – ecco il punto di questa mia – è assurdo parlare di “isolamento”e “autarchia” (oggi si dice “sovranismo”) nella produzione di una politica nazionale, senza tener conto della comunità nella quale viviamo, senza tener conto degli scambi culturali, di studio, di merci e di persone che formano la nostra quotidianità.

La UE va migliorata, vanno armonizzate le politiche e va superata l’idea “punitiva” di una UE che ci richiama agli impegni che noi stessi abbiamo firmato in altri momenti storici. E sicuramente la Casa Comune va migliorata pensando a come sviluppare i territori più svantaggiati con politiche condivise e concordate. Ma per migliorare la UE occorre capire che – come ho studiato – l’Europa siamo anche noi. Inevitabilmente.

Anzi, noi italiani – se solo potessimo ricordare tutti quello che abbiamo imparato alle superiori – siamo ancora più “europei” delle altre culture.
Roma – secondo il mito – è stata fondata da un emigrato mediorientale sbarcato sulla costa, il santo protettore della mia terra di Sardegna è un africano della Mauritania e il grande architetto Vanvitelli autore della Reggia di Caserta si chiamava Van Vittel di cognome ed era olandese per parte di padre. E così via.
La nostra identità culturale è europea “perché” siamo italiani.

Ecco perché non posso condvidere l’idea di un futuro per l’Italia che sia di isolamento e di guerra con gli altri paesi europei.
Serve anzi continuare a costruire, mattone su mattone, la nostra casa. Per farlo occorre però non dimenticare quello che abbiamo imparato a scuola. E occorre ricordare che, per superare un problema, occorre sedersi e parlare. Discutere, trovare punti di incontro e evidenziare quello che ci unisce, prima di affrontare quello che ci divide.
Ne sono convinto.

Gianluca Floris

Advertisement

About gianlucafloris

"gianlucafloris" punto "me" "gianlucafloris" dot "me"
This entry was posted in Uncategorized. Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Twitter picture

You are commenting using your Twitter account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s